Per conoscere l’uomo e l’artista Peter Shire,
riportiamo una interessante intervista di Tobia Donà,
Responsabile del MAAD – Museo d’Arte di Adria e Delta.
Peter Shire ha idee molto chiare.
“Il design deve per forza tener conto del mondo di oggi. Di quello che succede, dei grandi mutamenti ai quali abbiamo assistito. Non può più trasmetterci esclusivamente delle illusioni, fingere una realtà dove non esiste la sofferenza umana. Il mio lavoro va in questa direzione. Cresce fuori dal progetto e dalle esigenze della producibilità industriale. Nei miei lavori esprimo un senso di libertà assoluto. Le persone si accostano ad essi come ad opere d’arte, non li considera oggetti di design. Mi auguro che questo sia il futuro e che si vada sempre più in questa direzione”.
Così risponde Peter Shire, artista e designers americano, alla mia domanda sullo stato attuale del design e sul suo lavoro. Ci siamo incontrati ieri per un caffè qui a Ravenna ed è affascinante pensare che questa città attragga artisti da ogni luogo e che qui trovino la loro ispirazione. Ci siamo accordati per l’intervista e Peter mi ha dato appuntamento alla galleria Ninapì dove è ospite. Un grande tavolo è completamente occupato da schizzi e disegni che egli esegue silenzioso da giorni. Chiedo di poter fare qualche foto. Quello che vedo attraverso l’obbiettivo mi induce ad una serie di riflessioni. Mi rendo conto che le risposte alle domande che mi ero preparato sono in gran parte su questo tavolo. Peter sta dipingendo una serie di piccoli cavalli a tempera acrilica. Si tratta del cavallo di Mimmo Paladino posta davanti al MAR. Peter lo eleva a simbolo della città ma sostituisce alla pancia del cavallo una casetta. Sembra essere una delle case che stanno qui dietro in via Cerchio, le tipiche abitazioni ravennati che all’occhio di Peter diventano la città stessa. Per lo sfondo usa una campitura d’oro, alla quale sovrappone innumerevoli puntini colorati. In questi piccoli disegni vi è tutta la storia di questa città. Un cartoncino di pochi centimetri dove l’artista ha messo dentro il presente ed il passato. Pochi elementi, come l’oro dei mosaici bizantini e il senso intimo delle piccole abitazioni, concorrono a restituire un’immagine intelligibile, un archetipo. A questo punto chiedo a Peter come mai gli artisti americani riescano a cogliere ed elaborare la cultura europea più di quanto ne siano capaci gli europei nei confronti di quella americana e come questo si rifletta nel design.
“Negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale si è investito molto nell’arte. Qui da voi vi era molta povertà. Noi americani siamo partiti avvantaggiati da questo punto di vista. Abbiamo avuto modo di assorbire le tante cose che il vecchio continente poteva offrire e svilupparle in un paese ricco finanziariamente dove l’arte aveva un grande mercato. Per voi europei credo che in quel momento non vi fosse molto da attingere dagli Stati Uniti. Penso alle vostre città, ai centri storici attraversati da piccole viuzze, vi è il romanticismo. Tutto ciò contrasta con il senso pratico americano. Come non rimanerne affascinati. Le città americane sono geometriche concepite per essere funzionali. La stessa cosa vale per il design, in Europa è più emozionale meno aggressivo e soprattutto non legato unicamente ad un concetto di funzionalismo che ha origini inglesi e caratterizza quasi tutta la produzione americana.”
Quali artisti, o movimenti europei hanno segnato maggiormente la tua formazione?
“Personalmente mi sono sempre sentito molto vicino al Cubismo ,e al Dadaismo. Duchamp, Ernest, Man Ray li considero grandi maestri. Anche Gropius ed il Bauhaus. Ma credo di aver filtrato il tutto con l ironia e con la Pop Art” .
L’influenza dell’arte europea nel tuo lavoro è molto chiara, penso alle sculture di Tinguely anche lui ha attinto molto dal dadaismo, e dall’america cosa hai colto? Guardando i tuoi lavori, soprattutto di architettura, penso a Frank Gehry al suo periodo decostruttivista, quello della casa a Santa Monica.
“ Si certo sono legato al lavoro di Frank anche per un fatto temporale, veramente sono un po’ più giovane di lui (sorride). Ma tra gli americani mi sento molto in sintonia con Richard Serra anche se lui direbbe il contrario. C’è un po’ dell’uno ed un po’ dell’altro. Amo molto anche il lavoro di Schindler, nato a Vienna ma vissuto in California.”
Da eventi come il Design Basel / Miami emerge un interesse crescente verso l’oggetto artigianale che cosa ne pensi del lavoro manuale?
“Da noi gli artisti lavorano con le mani, hanno un’idea e la portano avanti. Costruiscono da soli i propri oggetti. Mio padre era architetto/carpentiere e da lui ho imparato molto sulla statica e questo mi è utile per le grandi opere che realizzo fisicamente con l’aiuto dei miei assistenti nel mio studio all’Echo Park di Los Angeles. Lavoriamo l’acciaio, il legno, cuociamo la ceramica mentre mia moglie cuoce il cibo per tutti! Sono poche le cose faccio realizzare da artigiani fuori dal mio studio. Io continuo a lavorare con le mani anche se sono stato attraversato dalla cultura digitale e provo per questa grande interesse. Non so se questo durerà nelle nuove generazioni. Forse i loro lavori creati al computer saranno migliori.”
Peter, la tua esperienza con il gruppo Menphis? Pensi che con la velocità di comunicazione odierna sia favorita la nascita di nuovi gruppi di lavoro capaci di lasciare un segno nella storia del design cosi profondo come il vostro? “Certo, potremo avere ancora delle sorprese. Se ci saranno in futuro nuovi gruppi o movimenti saranno europei poiché il lavoro dell’artista in america è caratterizzato da una cultura individualista. La Factory di Warhol è stata forse l’ultima esperienza di questo tipo in America. Certo il lavoro di un singolo artista influenza inevitabilmente quello di altri artisti ma lavorare in gruppo è una cosa diversa, è un momento fortunato nel quale confluiscono idee e gusti personali. Io stesso collaborando a Menphis non mi rendevo conto dell’importanza di quello che stavamo facendo e quale fosse la vera portata culturale di quell’impegno. La certezza allora non l’avevo. Forse i social network possono favorire la comunicazione fra artisti, non lo so… vi sono anche persone che fanno cose strane davanti al computer!” Peter da come hai riempito questa stanza di bozzetti, idee, dipinti si capisce che sei innamorato del tuo lavoro è questa la chiave di tutto?
“Amo il mio lavoro e questo mi ha dato grandi soddisfazioni. Mi rendo conto di essere privilegiato. Il successo, il denaro, le opere nei musei, tutte queste cose si devono però bilanciare. Sono felice di aver potuto fare sempre l’artista.”
C’è stato un momento nel quale hai percepito fortemente che avevi raggiunto il successo? Mi guarda mi sorride e dice “Ieri al bar quando mi ha chiesto questa intervista”
Ringrazio Nando Randi e Chiara Fuschini, amici di Peter, che mi hanno assistito in questa intervista per poter afferrare dalle sue parole ogni sfumatura.
Ecco alcune Opere di Peter Shire e lo stesso P.S. :